Umberto Zanetti e l’amore per Bergamo

181128 Zanetti -addio fotoUn amico ci ha lasciato… non solo “nostro” amico ma di tutti coloro che sinceramente sentono dentro di sè un amore per la nostra città e le sue tradizioni. Poeta, prosatore, saggista, autore di almeno sessanta opere monografiche, tra saggi storici, di cultura popolare, libri d’arte, Umberto ha dedicato tutte le sue più preziose risorse allo studio della sua amatissima Bergamo, della sua storia, dei suoi grandi e piccoli personaggi, degli aspetti più umili della cultura popolare, i volti, i mestieri, le vecchie botteghe. Nella ricerca delle leggende delle nostre valli, come nella grande Storia, si è espresso l’amore tutto speciale per la lingua bergamasca, per il dialetto parlato dagli amici conosciuti nei primi giochi per le strade della città. Nelle sue poesie in dialetto Umberto ha saputo dare i frutti più preziosi, in quella «cà de sass», la casa di sassi che erano i suoni aspri e impervi del suo dialetto, fatto di parole altre «i ótre paròle», che nessuno come lui ha saputo modulare in tutte le tonalità possibili, rendendole dolcissime nei sonetti e pungenti e aspre nelle sue invettive. Bisognerà almeno ricordare il suo particolare lavoro con l’Ateneo di Scienze Lettere e Arti di Bergamo, con il Centro Studi Tassiani e i tanti altri suoi scritti e studi che gli sono valsi tanti riconoscimenti, come le medaglie d’oro per meriti culturali della Camera di Commercio di Bergamo e poi del Comune di Bergamo nel 2009 e dalla nomina a Commendatore della Repubblica nel 2011.

Ol nost dialet

La maschera di Gioppino vanta il suo carattere autoctono e la sua fedeltà al vernacolo natìo.

Se è vero, secondo quanto scrisse l’abate Stoppani, che il vernacolo bergamasco è «un’eco lontana della lingua di Roma e degli idiomi dei più antichi popoli italici», è anche vero che la sua intrinseca durezza (dovuta soprattutto alla prevalenza dei suoni stretti ed alla presenza delle vocali o e u, proprie dei dialetti piemontesi, liguri e lombardi) ne fa uno dei dialetti meno vicini alla lingua nazionale ed apparentemente meno comprensibili.
Dante aveva deplorato l’abbondanza di vocaboli tronchi nelle parlate dei milanesi e dei bergamaschi; ciononostante, nel “Dialogo” (1587) di Arrigo Stefano il dialetto bergamasco è reputato più bello del fiorentino e inferiore soltanto al veneziano.
Di origine celtica, il nostro vernacolo, formatosi durante il regno longobardo, era già intorno all’anno 1000 un idioma compiuto e non dissimile da quello attuale; consolidatosi nel periodo comunale, esso subì poi notevoli influenze venete pur conservando una sua fisionomia ben definita. Vanta cultori illustri e profondi, dall’umanista Gasparino Barzizza, autore di un lessico bergamasco, e dal seicentesco Carlo Assonica, che tradusse la “Gerusalemme Liberata”, agli ottocenteschi Gabriele Rosa ed Elia Zerbini, studiosi di tradizioni locali, dallo Zappettini e dal Tiraboschi, che nel secolo scorso compilarono due vocabolari, al contemporaneo Vittorio Mora, che nel 1966 ha pubblicato una preziosa grammatica del dialetto della città di Bergamo. Come tutti i dialetti europei, anche il linguaggio di Gioppino va progressivamente dissolvendosi; con la sua scomparsa tutto un patrimonio di cultura e di umanità è destinato a disperdersi, perché la morte di una lingua segna sempre la fine di una civiltà. Continua a leggere