La città sotto assedio!

L’8 maggio 1428, mentre erano in corso le prime operazioni di guerra, arrivano a Bergamo tre nobili veneziani con la carica di provveditori straordinari per prendere possesso della nostra città in nome della Repubblica. Il 4 luglio, otto ambasciatori bergamaschi “superbissimamente vestiti” e accompagnati da un grandissimo numero di gentiluomini si recano a Venezia per prestare giuramento di fedeltà alla presenza del Doge. Il passaggio della città al dominio della Serenissima era praticamente compiuto (ma il riconoscimento giuridico e il consolidamento del potere dovranno aspettare ancora molto tempo). La cosa aveva scatenato comunque le ire del Duca di Milano Filippo Maria Visconti che lancia subito il suo grande esercito, comandato dal Piccinino, contro Venezia di cui Bergamo è ora il baluardo estremo. Ma nell’esercito veneziano, comandato dal Gattamelata, milita il capitano Bartolomeo Colioni che ha 33 anni, che si è coperto di gloria su tanti campi di battaglia in tutta Italia e che diventerà il grande difensore della città.
Nel 1432, presso Lecco, l’esercito veneziano subisce una grave sconfitta e i procuratori veneziani Venier e Corner, che avevano comandato l’attacco, vengono catturati. Da allora, la guerra continua con alterne fortune nel territorio e raggiunge spesso i borghi cittadini. Per lunghi periodi Bergamo resterà praticamente sotto assedio. Nel novembre 1437 l’esercito milanese del Piccinino è ancora tutto schierato sotto le mura di Bergamo ma la città risulta imprendibile grazie alle difese approntate da Bartolomeo Colleoni. Riesce a penetrare in Borgo Pignolo, distruggendolo in gran parte e poi, nel settembre 1438, depreda Borgo Palazzo e Borgo Santa Caterina; ma la rocca bergamasca resiste finché le truppe milanesi, sfiancate, tolgono l’assedio e le battaglie si spostano in Valcamonica e Valtellina.
Un affresco del Romanino conservato nel castello di Malpaga ricorda il cruento assedio.
BeergamodifesadaColleoni

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Incontri in libreria : Accadde a Famagosta

Un interessante resoconto dei sopravvissuti all’assedio e distruzione della fortezza veneziana, nostra speculare terra di confine a sud-est, della Serenissimalibro - Famagosta flibro - Famagosta r
L’assedio della città di Famagosta permise ai Turchi d’impossessarsi dell’intera isola di Cipro; l’assedio durò quasi un anno, dal 22 agosto 1570 al 4 agosto 1571.
La città fu assediata dall’imponente flotta turca ottomana capitanata da Lala Kara Mustafa Pascià. I veneziani erano guidati da Marcantonio Bragadin e da Astorre Baglioni (già Capitano Generale alla Fortezza di Bergamo).
Appena cominciato l’assedio, il comandante ottomano inviò la testa mozzata di Niccolò Dandolo, governatore di Nicosia, con l’ordine di resa immediata. Questo non spaventò né Bragadin né Baglioni, che, dopo aver fatto seppellire con onoranze funebri la testa dell’eroe, decisero di non arrendersi.
L’esercito nemico disponeva di 113 pezzi di artiglieria, 3000 cavalli, 193.000 fanti e 40.000 guastatori (in totale circa 233.000 uomini). Il Baglioni aveva a disposizione 90 pezzi di artiglieria, circa 6000 fanti (2000 italiani e 4000 greci) e 200 cavalli; ricevette poi un rinforzo di 2400 fanti e 150 cavalli (in totale circa 8.050 uomini, ossia circa di uno ogni 30 invasori turchi).
Famagosta aveva un ottimo sistema difensivo: si affacciava al mare ed era protetta da un muro di cinta con quattro baluardi e protetta da un ampio e profondo fossato. Questo però non poteva resistere all’assedio di un enorme esercito ottomano in continuo incremento calcolando anche la scarsità di derrate alimentari in giacenza nella città.
I primi attacchi vennero condotti dai giannizzeri, che però furono respinti dalla cavalleria veneziana e quindi Lala Mustafà decise di far uso massiccio dell’artiglieria.
Bragadin e il comandante delle truppe Astorre Baglioni seppero sfruttare al meglio il sistema fortificato e le poche truppe di cui disponevano, riuscendo a resistere e infliggendo gravi perdite al nemico con la loro controbatteria e con incursioni a sorpresa fuori dalle mura.
Il generale turco temette una rovinosa sconfitta come quella subita durante l’assedio di Malta di cinque anni prima e chiese perciò ulteriori rinforzi che portarono l’esercito assediante a 250.000 unità.
Il 26 gennaio 1571 giunsero a Famagosta le 16 galee veneziane di Marcantonio Querini con rifornimenti di viveri e 1.600 soldati e tra questi il figlio dell’ammiraglio stesso. Un ultimo rifornimento, 800 fanti, arrivò in marzo. Nel frattempo gli ottomani avevano posizionato nuova artiglieria e scavato nuove trincee mentre i continui bombardamenti (circa 150.000 colpi) stavano riducendo la città a un cumulo di macerie.
Verso fine luglio 1571 Mustafa Pascià, perso il figlio in battaglia, ordinò il più pesante bombardamento dall’inizio dell’assedio: la torre nord venne in gran parte demolita. Con le mura compromesse, i soldati rimasti in settecento, in gran parte feriti ed esausti, la popolazione ridotta allo stremo, il Baglioni e il colonnello Martinengo optarono per accettare la resa offerta con la promessa di aver salva la vita loro e di tutti i cittadini rimasti e anche con la possibilità di rimpatriare. Anche Marcantonio Bragadin, che pur prevedeva il tragico destino della città, decise infine di sottoscrivere la resa il 1° agosto 1571.
Ma Mustafa, furioso per le perdite subite (non meno di 52.000 uomini), contravvenendo alle sue promesse, appena firmata la resa, fece decapitare e tagliare a pezzi il Baglioni e la sua scorta, impiccare tre volte il colonnello Martinengo e trucidare tutti i soldati rimasti. La città venne lasciata in balia delle milizie ottomane, che seminarono la strage e distrussero le chiese.
In ultimo, iniziò il supplizio di Bragadin: fu incatenato, gli furono mozzate le orecchie e il naso, prima issato sulla cima dell’albero di una galea e poi frustato e rinchiuso per dodici giorni in una minuscola gabbia al sole, esposto ai soprusi dei soldati vincitori. Il 17 agosto 1571 venne condotto, dopo altre sevizie e umiliazioni, nella piazza principale e scuoiato vivo. Le membra squartate e date ai cani, la sua pelle, impagliata, venne esposta sulla nave ammiraglia e portata a Istanbul; custodita in una botte per vivande nell’Arsenale della città, fu presa da uno schiavo veneziano, Gerolamo Polidori, che corrompendo guardiani, riuscì a riportarla in patria; nel 1580 fu posta in un’urna nella chiesa di San Gregorio e fu trasferita nel 1596 in quella dei Santi Giovanni e Paolo, dove si trova attualmente. In ricordo di quel massacro tutte le gondole furono dipinte di nero.
L’eroica resistenza di Famagosta servì in ogni caso a far guadagnare tempo alle forze cristiane, tenendo impegnata l’enorme flotta ottomana: a Lepanto, appena un mese e mezzo dopo, l’armata della Lega Santa ottenne una schiacciante vittoria sulle forze turche.