7 Ottobre 1571: la battaglia di Lepanto nella toponomastica

battaglia LepantoIl 7 Ottobre, è l’anniversario della grande battaglia navale di Lepanto nella quale la flotta cristiana (con l’apporto fondamentale degli uomini e delle navi della Repubblica Veneta) sconfisse la flotta ottomana. Una battaglia violentissima, dove ci furono ben 30.000 morti da parte degli ottomani (che chiamarono “Capo insanguinato” il teatro della battaglia) e 7.500 i cristiani dei quali ben 4.700 veneti guidati da due straordinari eroi, Sebastiano Venier e Agostino Barbarigo.
Una battaglia determinante per l’intera Europa, per la sua cultura e la sua civiltà. Per celebrare degnamente la vittoria, il grande Andrea Palladio progettò in piazza dei Signori a Vicenza la Loggia del Capitaniato. Dalla rivista “Vicenza città bellissima”: “Negli intercolumni vi sono due statue allegoriche ricordanti la vittoria navale veneziana e sulla base, è scolpita una duplice iscrizione: – Palman genuere carinae – e – Belli secura quiesco -. La prima rappresenta la dea della vittoria mentre la seconda la pace ottenuta. Sul piano superiore altre quattro statue: la prima è la Virtù, secondo il significato classico, la seconda è la Fede, la terza la Pietà e la quarta l’Onore e quindi: la Virtù e l’Onore seguendo la Fede e la Pietà ottengono la Vittoria e la Pace. Venezia ha vinto i turchi unendo questi valori.”
La grandiosità di quella Loggia è uno dei segni inequivocabili di quale importanza veniva attribuita, all’epoca, a quella vittoria tanto che, per disposizione papale, le campane di tutta la Cristianità ogni 7 Ottobre a mezzogiorno, per secoli, suonarono a festa.
Né si può dimenticare l’apporto che anche Bergamo diede alla vittoria in termini di uomini e denari e che in città i festeggiamenti durarono per dieci giorni.
Fu uno degli avvenimenti fondamentali per le sorti dell’intera Europa e allora perché non intitolare una via o una piazza anche dei nostri comuni bergamaschi alla battaglia di Lepanto?

Incontri in libreria : Accadde a Famagosta

Un interessante resoconto dei sopravvissuti all’assedio e distruzione della fortezza veneziana, nostra speculare terra di confine a sud-est, della Serenissimalibro - Famagosta flibro - Famagosta r
L’assedio della città di Famagosta permise ai Turchi d’impossessarsi dell’intera isola di Cipro; l’assedio durò quasi un anno, dal 22 agosto 1570 al 4 agosto 1571.
La città fu assediata dall’imponente flotta turca ottomana capitanata da Lala Kara Mustafa Pascià. I veneziani erano guidati da Marcantonio Bragadin e da Astorre Baglioni (già Capitano Generale alla Fortezza di Bergamo).
Appena cominciato l’assedio, il comandante ottomano inviò la testa mozzata di Niccolò Dandolo, governatore di Nicosia, con l’ordine di resa immediata. Questo non spaventò né Bragadin né Baglioni, che, dopo aver fatto seppellire con onoranze funebri la testa dell’eroe, decisero di non arrendersi.
L’esercito nemico disponeva di 113 pezzi di artiglieria, 3000 cavalli, 193.000 fanti e 40.000 guastatori (in totale circa 233.000 uomini). Il Baglioni aveva a disposizione 90 pezzi di artiglieria, circa 6000 fanti (2000 italiani e 4000 greci) e 200 cavalli; ricevette poi un rinforzo di 2400 fanti e 150 cavalli (in totale circa 8.050 uomini, ossia circa di uno ogni 30 invasori turchi).
Famagosta aveva un ottimo sistema difensivo: si affacciava al mare ed era protetta da un muro di cinta con quattro baluardi e protetta da un ampio e profondo fossato. Questo però non poteva resistere all’assedio di un enorme esercito ottomano in continuo incremento calcolando anche la scarsità di derrate alimentari in giacenza nella città.
I primi attacchi vennero condotti dai giannizzeri, che però furono respinti dalla cavalleria veneziana e quindi Lala Mustafà decise di far uso massiccio dell’artiglieria.
Bragadin e il comandante delle truppe Astorre Baglioni seppero sfruttare al meglio il sistema fortificato e le poche truppe di cui disponevano, riuscendo a resistere e infliggendo gravi perdite al nemico con la loro controbatteria e con incursioni a sorpresa fuori dalle mura.
Il generale turco temette una rovinosa sconfitta come quella subita durante l’assedio di Malta di cinque anni prima e chiese perciò ulteriori rinforzi che portarono l’esercito assediante a 250.000 unità.
Il 26 gennaio 1571 giunsero a Famagosta le 16 galee veneziane di Marcantonio Querini con rifornimenti di viveri e 1.600 soldati e tra questi il figlio dell’ammiraglio stesso. Un ultimo rifornimento, 800 fanti, arrivò in marzo. Nel frattempo gli ottomani avevano posizionato nuova artiglieria e scavato nuove trincee mentre i continui bombardamenti (circa 150.000 colpi) stavano riducendo la città a un cumulo di macerie.
Verso fine luglio 1571 Mustafa Pascià, perso il figlio in battaglia, ordinò il più pesante bombardamento dall’inizio dell’assedio: la torre nord venne in gran parte demolita. Con le mura compromesse, i soldati rimasti in settecento, in gran parte feriti ed esausti, la popolazione ridotta allo stremo, il Baglioni e il colonnello Martinengo optarono per accettare la resa offerta con la promessa di aver salva la vita loro e di tutti i cittadini rimasti e anche con la possibilità di rimpatriare. Anche Marcantonio Bragadin, che pur prevedeva il tragico destino della città, decise infine di sottoscrivere la resa il 1° agosto 1571.
Ma Mustafa, furioso per le perdite subite (non meno di 52.000 uomini), contravvenendo alle sue promesse, appena firmata la resa, fece decapitare e tagliare a pezzi il Baglioni e la sua scorta, impiccare tre volte il colonnello Martinengo e trucidare tutti i soldati rimasti. La città venne lasciata in balia delle milizie ottomane, che seminarono la strage e distrussero le chiese.
In ultimo, iniziò il supplizio di Bragadin: fu incatenato, gli furono mozzate le orecchie e il naso, prima issato sulla cima dell’albero di una galea e poi frustato e rinchiuso per dodici giorni in una minuscola gabbia al sole, esposto ai soprusi dei soldati vincitori. Il 17 agosto 1571 venne condotto, dopo altre sevizie e umiliazioni, nella piazza principale e scuoiato vivo. Le membra squartate e date ai cani, la sua pelle, impagliata, venne esposta sulla nave ammiraglia e portata a Istanbul; custodita in una botte per vivande nell’Arsenale della città, fu presa da uno schiavo veneziano, Gerolamo Polidori, che corrompendo guardiani, riuscì a riportarla in patria; nel 1580 fu posta in un’urna nella chiesa di San Gregorio e fu trasferita nel 1596 in quella dei Santi Giovanni e Paolo, dove si trova attualmente. In ricordo di quel massacro tutte le gondole furono dipinte di nero.
L’eroica resistenza di Famagosta servì in ogni caso a far guadagnare tempo alle forze cristiane, tenendo impegnata l’enorme flotta ottomana: a Lepanto, appena un mese e mezzo dopo, l’armata della Lega Santa ottenne una schiacciante vittoria sulle forze turche.

Bergamo e la battaglia di Lepanto

battaglia-lepanto_02.jpgAlla rovina di Famagosta del 1° agosto 1571, che portò allo scempio di Marcantonio Bragadin e Venezia a dipingere di nero le sue gondole, seguì, la gloria di Lepanto (7 ottobre 1571).
Quella strepitosa vittoria della Lega Santa fermò a lungo l’espansione ottomana ma, nell’immediato, non fu per i Turchi una disfatta perché, subito dopo, come avviene sovente nella storia, ci fu un voltafaccia degli alleati e Venezia, rimasta sola nella lotta, dovette accettare una pace svantaggiosa, simile a una sconfitta. Il 7 marzo 1573 infatti essa dovette rinunciare a Cipro, a Dulcino, ad Antivari e pagare trecentomila ducati a titolo di indennità di guerra, conservando solo gli antichi privilegi nei porti ottomani.
Ma una delle conseguenze immediate nella politica di Venezia, per la sua diminuita fiducia nella Spagna, sua confinante sull’Adda, fu poi la deliberazione di completare la fortificazione di Bergamo, iniziata 10 anni prima e per la quale, secondo molti consiglieri, la città sarebbe diventata un centro strategico decisivo.
Bergamo e Bergamaschi per Lepanto.
Durante la rinnovata guerra contro i Turchi, Venezia chiese a tutte le città di Terraferma un contributo, che per Bergamo fu di 24.000 ducati; e il 7 dicembre 1571, cioè un mese dopo la richiesta, la Signoria già incaricava i rettori di ringraziare i cittadini bergamaschi per quanto avevano fatto per tale tributo.
Corrispondendo poi agli inviti di Venezia per contribuire alla difesa di Cipro, Bergamo offrì ancora 10.000 ducati per armare una galea, alla quale fu dato il nome glorioso di S. Alessandro, e anche 224 galeotti (N.B. : per un confronto, rifare la porta di S.Lorenzo nel 1627 costerà alla città 4.000 ducati).
Ma già alcuni guerrieri bergamaschi erano partiti alla difesa dell’isola:
Giacomo Barile, Agostino, Galeazze e Camillo Canova, Galeazze e Carlo Calepio, Antonio Calvi, Francesco Corsini, Francesco Casotti, Orazio Spini, Marcantonio e Pietro Boselli, Ferrante Ambiveri, Giacomo Berlendis, Giovan Francesco Vitalba, Francesco Suardi, Giuseppe e Alessandro Bagnati, Federico ed Ezechiele Solza, Antonio e Ruggero de Tassis, Gio. Battista Brembati, Battista Quarenghi, Francesco Martinengo
Alcuni di questi perirono gloriosamente in battaglie antecedenti quella di Lepanto, come Carlo Calepio, fatto prigioniero dai Turchi a Cipro, Pietro Boselli, capitano di 50 cavalli, caduto sotto Nicosia, Federico ed Ezechiele Solza, morti in combattimento alla Morlacca, dove caddero pure Antonio Calvi, Battista Quarenghi e Galeazze Calepio.
Ma nella battaglia di Lepanto i Bergamaschi si fecero onore, con la galea comandata da Antonio Colleoni da Martinengo, che si trovò nel folto della mischia, decima in posizione, fra le 61 navi che formavano il centro, e precisamente fra la San Giovanni di Venezia e la Fano,  nave ammiraglia di Giorgio d’Este, e riuscì a catturare una galea turca.
A Lepanto si trovarono pure Alessandro e Giuseppe Bagnati, che l’anno precedente avevano combattuto da valorosi in aiuto di Famagosta, Antonio e Ruggero de Tassis, Marcantonio Boselli figlio di Pietro, Francesco Suardi e, fra gli altri, anche Francesco Corsini, ucciso poi a tradimento da uno spagnolo nel 1584, a Milano.
Dopo la vittoria di Lepanto, la città fu in festa per ben dieci giorni; mandò a Venezia due suoi nunzi a rallegrarsi, e fece una magnifica accoglienza al sopracomito della galea di S. Alessandro e, nei secoli successivi tutte le campane di Bergamo suonarono in quella data.
Il grande trionfo delle armi cristiane sarà cantato anche in rime dialettali bergamasche (G.A. Quarti : “Lepanto”  – A.Pinetti : “Bergamaschi a Lepanto”).