Così Hemingway si ispirava nell’«adorata» Città Alta

Le visite dello scrittore e un intenso weekend con la moglie Mary nell’ottobre del 1948. Lunghe ore in Città Alta: «A me piace polenta e uccelli».

hemingway_b1.jpgCosa ci fa un vaso proveniente da Bergamo fra un portafiori di cristallo di Murano e un ceramica di Picasso, la collezione delle opere di Mark Twain, Balzac, Maupassant e una testa di leone, nella casa-museo di Ernst Hemingway a Cuba? E cosa ci fa nello studiolo sulla collina alla periferia dell’Avana – dove abitò sei mesi all’anno dal 1939 al 1960, nella sua casa di Ketchum, Idaho – l’opuscolo «Celebrazione per il centenario della morte: Gaetano Donizetti», stampato a Bergamo nel 1948?
Semplice. Sono tracce di una predilezione per la nostra città e di una visita lontana.
«Hai mai visto le colline piemontesi? Sono marroni, gialle e polverose, alcune volte verdi… Ti piacerebbero…»: nel giorno in cui Cesare Pavese abbozzava questa sorta di lettera a Hemingway, mai inviata, esattamente il 3 ottobre 1948, il grande romanziere americano adocchiava invece le colline orobiche, nel suo passaggio in città insieme alla quarta moglie, la giornalista Mary Welsh.
I due arrivarono a Bergamo la sera prima, sabato, dopo essere sbarcati a Genova. Viaggiavano su una grande Buick azzurra decappottabile. In città alloggiarono vicino alla stazione ferroviaria, all’Albergo Moderno. Per Ernest – che in quel periodo era già una leggenda – non era la prima volta nella nostra città: l’aveva già vista – benché frettolosamente – durante la Grande Guerra. Da quell’esperienza, in lui l’amore a prima vista per l’Italia, dove ritornò nell’aprile 1927 sulla vecchia Ford dell’amico giornalista Guy Hickok. Continua a leggere

La Bergamo di D’Annunzio

Bg alta da Maresana 1.jpgBergamo, la città geniale in sapienza e in prodezza in meditazione e in azione, solitaria e raccolta sul colle intorno al suo vecchio Palagio ove lo spirito del libero Comune dorme nel silenzio dei libri immemore di discordie e di tumulti, operosa e giovanile al piano, sonante di industrie ordinate, protesa alle conquiste più nuove, fatta sempre più capace a contenere e a versare la ricchezza di quelle immense cornucopie che sono le due valli; il popolo che in ogni tempo conciliò con la forza delle opere e la disciplina del pensiero, ed ebbe in Bartolomeo Colleoni invitto un protettore di poeti, in Francesco Nullo cavaliere di libertà un inventore di pratici ordegni, e impresse alle forme dell’arte una appassionata eleganza dagli intagli del Fantoni alle melodie del Donizetti, e scrutò i più profondi tesori del linguaggio, dal vetustissimo Mosè del Brolo ad Angelo Mai; Bergamo tenace nel custodire tutto il passato, audace nel percorrere tutto l’avvenire, così come serbò alla Serenissima la fede più sicura e impetuosamente accrebbe di tanto il suo gentil sangue la schiera dei Mille, così già oggi si prepara a vedere le novissime ali, foggiate con la sua tela più robusta, roteare intorno alla Torre di Gombito, eretta nel quadrivio sacro alle Feste agrarie.

Dalla trama di un discorso: “Per il dominio dei cieli”, 1910
(Autografo nella Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo)