Segni nella pietra

Ogni pietra di Città Alta trasuda di storia. Sembra una frase fatta. Ma non è così. Qui ogni sasso cela davvero un tassello del passato, ogni masso racchiude testimonianze remote, ogni frammento custodisce epiche memorie. Per le folle domenicali che la prendono d’assalto, la città chiusa dalle Mura ruota tutt’attorno ai monumenti e alle chiese del quadrilatero di Piazza Vecchia, si snoda lungo la Corsarola che sbuca alla Cittadella e a Colle Aperto, capolinea della salita a San Vigilio. Città Alta «mordi e fuggi» è soprattutto questo.
Eppure proprio lungo i tour canonici, i «forzati» di via Colleoni non notano tracce in apparenza semplici, indecifrabili, se non addirittura insignificanti che nascondono pagine di storia tutte da sfogliare. Una sigla scolpita su un travertino, un graffio su un muro, una croce fra i sassi delle mura, un anello di ferro imprigionato in una colonna, sono testimonianze che meriterebbero di essere riscoperte e valorizzate.
Talvolta misteriose ed enigmatiche, a queste tracce nessuno degna più uno sguardo. Sovente ignorate, sono schegge di storia legate a fatti remoti, personaggi, momenti gloriosi e dolorosi di Città Alta. Oggi sulla gradinata di pietra sotto Palazzo della Ragione – il lato attaccato al Duomo – i bambini si siedono a gustare un gelato. Ma lì un tempo siedeva gente che non aveva alcun motivo per ridere. Lì venivano esposti i condannati, dopo la sentenza dei Giudici del Malefizio.
Il nostro viaggio nell’insolito inizia proprio nel cuore pulsante di Città Alta, sotto i portici del Palazzo. Su un pilastro del lato che porta alla Cappella Colleoni si notano alcuni segni verticali. Quei solchi longitudinali nella pietra parlano di uomini armati, patrioti, rivoluzionari. Sono storia incisa, scolpita, graffiata. C’è qualcosa di segreto, di cruento dentro questi segni. Proprio dove c’è l’ingresso alla torre del Campanone, un tempo vi era infatti il corpo di Guardia Austriaco. Allora non esistevano gli arrotini e le guardie si servivano del pilastri del Palazzo per affilare le lame delle baionette. Da Piazza Vecchia ci spostiamo verso l’ex Ateneo.
Su un muro a lato del Fontanone Visconteo, vicino allo scalone fra l’edificio dell’Ateneo e Santa Maria Maggiore troviamo una strana sigla AQ. Le iniziali di una coppia di innamorati? Nulla di così romantico. Un tempo questa sigla si notava un po’ ovunque in Città Alta. Alcune volte ritroviamo solo la lettera A. Sono le parole di un’antica segnaletica. Gli addetti alla manutenzione e alla pulizia della rete idrica, nel ‘700, indicavano così i punti in cui passavano i tracciati dell’acquedotto. Iscrizioni simili sono state trovate lungo il percorso dei Vasi, su un cippo di via Sudorno e su pietre del muro di sostegno in via San Vigilio.
Più intriganti, i segni e i simboli che sono stati trovati sulle Mura Venete. Lungo la cinta si svelano agli occhi più attenti fregi di capitelli, croci, rosoni, lapidi della cui presenza pochi sono a conoscenza. C’è un «sole» di pietra chiuso fra i sassi delle Mura Venete, all’inizio di via Tre Armi. Quasi nascosto dalla vegetazione, un po’ fuori mano rispetto ai tour domenicali, non si fa proprio notare.
È uno dei numerosi trigrammi, i simboli dell’Eucarestia, di San Bernardino da Siena, sparsi in vari angoli della città, a testimoniare il passaggio e la predicazione del Santo a Bergamo. Se ne possono trovare altri sul muro dell’ex monastero di San Fermo, in via Porta Dipinta e in via Donizetti. San Bernardino fu a Bergamo nel 1419 e tre anni dopo, il 26 febbraio 1422, predicò in S. Maria Maggiore. Salendo via S. Alessandro si giunge al bivio per via Tre Armi, la strada a ciottoli sale poi a Porta San Giacomo. Prima di oltrepassarla, date un’occhiata a sinistra, alle Mura Venete e scorgerete una grande croce nella pietra.
Questo simbolo un tempo si trovava in una chiesetta, distrutta durante la costruzione delle Mura: la croce fu salvata e collocata nella cinta muraria. In questa galleria di pietre non poteva mancare la «colonnetta» di via Noca, a poca distanza dall’Accademia Carrara. Sopra la scritta (illeggibile) Non latius (non oltre) scavata nella pietra si nota una forma rettangolare sormontata da un triangolo, una sorta di casetta come la disegnano i bambini.
Fu realizzata alla fine del ‘500, quando si stavano costruendo le Mura Venete: indicava che oltre quel punto non si sarebbe proceduto all’abbattimento di edifici per far posto alla cinta muraria. Furono quattro senatori Guglielmo Roncalli, Girolamo Suardo, Bonifacio Agliardi e Severo Salvi a contestare il Senato di Venezia per la distruzione delle case. Le loro rimostranze furono accolte e si limitò lo spazio per la fascia delle mura collocando a distanza concordata le «colonnette». Quella di via Noca si sbriciola e fra qualche tempo non si troverà più nulla. A nulla valse la richiesta del Pelandi di collocare quel simbolo in un museo per conservarlo. Le intemperie lo cancelleranno per sempre. Ma perché passare un colpo di spugna su ogni traccia della nostra storia?

Emanuele Roncalli per “Storie dimenticate” – 24/09/13 – Eco di Bergamo

Segni nella pietraultima modifica: 2013-10-30T01:30:24+01:00da amicimura1a
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